Una sorta di iPhone grande. Un computer a tutto schermo, che si manovra sfiorandolo con le dita. Sempre connesso a internet. Da mesi si vocifera di un prossimo tablet della Apple, il cui annuncio è atteso per fine gennaio. Google ha fatto sapere che ne produrrà uno con Htc, basato sul suo sistema operativo Android. E si sa che il concetto sarà ripreso e moltiplicato da altri produttori. Ma la fioritura dei tablet comincia al Ces con la presentazione della versione prodotta da Hp con software della Microsoft.
La storia dei tablet riprende – circa un lustro dopo i primi tentativi – proprio dalla coppia Hp-Microsoft che aveva allora sostenuto il concetto, ma non aveva trovato il mercato. All'epoca, Steve Jobs, intervistato dal Sole 24 Ore, aveva detto: «Non capisco il valore d'uso di un tablet». E, invece, ora è tutto diverso. Perché?
Ovviamente le tecnologie sono cambiate. Migliorate. Ma il fenomeno che conta è molto più ampio: è nato un "ecosistema" economico, culturale, sociale, che può dare senso a questo tipo di oggetto.
Lo dimostrano molte storie recenti che sembrano partire da nuove tecnologie degli schermi e che vincono se riescono a trovare l'ambiente nel quale svilupparsi. Più o meno come è successo all'iPod che si è sviluppato nel contesto delle difficoltà dei modelli tradizionali di vendita e fruizione della musica. E come è riuscito all'iPhone che ha dato vita a un'enorme filiera di produttori di software per applicazioni che sui telefonini tradizionali non avevano senso. Allo stesso modo, gli schermi a inchiostro elettronico, che erano sul mercato da tempo, sono decollati grazie ad Amazon, che è riuscita a farli apparire come il futuro dei libri, unendo nel suo Kindle un efficiente servizio di vendita e distribuzione per l'editoria libraria a una tecnologia che serve a leggere senza stancarsi gli occhi con la retroilluminazione. E gli stessi televisori ad alta definizione hanno potuto apparire molto più credibili in quanto rispondevano a esigenze nate dall'uso degli schermi per i giochi o i film in digitale, consentendo all'industria dei contenuti televisivi di evolvere in quel solco – come ha scritto, su Link, l'autore e produttore Gregorio Paolini – offrendo finalmente non più soltanto le immagini brillanti e "artificiali" della tv tradizionale, ma aprendo a produzioni più cinematografiche, dove i neri sono neri e le scene notturne sono ammesse, come nei nuovi, apprezzati, telefilm americani. In entrambi i casi, in effetti, l'editoria televisiva e quella libraria hanno trovato nei produttori di tecnologie i partner giusti per evolvere in un contesto digitale che non sempre li aveva favoriti.
Una delle storie che accompagneranno lo sviluppo dei tablet, in effetti, è quella dell'editoria dei periodici. Sports Illustrated, settimanale del gruppo Time, ha pubblicato su YouTube un video che descrive il prototipo di una versione digitale della rivista che non ha senso se non esiste un tablet con funzioni simili a quelle di un grande iPhone: le pagine si sfogliano sfiorando lo schermo, gli articoli si leggono facendoli balzare fuori con un battito di dita, le fotografie si ingrandiscono con le mani per rivelare tutti i particolari delle azioni sportive o per trasformarsi all'occorrenza in filmati. Guardando il prototipo viene da pensare che gli appassionati di sport sarebbero disposti a pagare per leggere la loro rivista preferita in quel modo. Ed è probabile che i manager di Time pensassero proprio a coltivare un mercato del genere, testando il loro prototipo con il video su YouTube. E aggiungendo che la rivista in digitale sarebbe uscita nel 2010, sembravano ammettere che non aspettavano altro che il lancio del tablet della Apple.
